settima puntata durante la fase due del co.vi.d.-’19 (sulla censura da rancido a mozart:)

la riapertura, parziale, fa ritornare li traffico, ritornano le incombenze, gli affetti e i loro effetti…

nel post precedente scrivevo del perchè stavo procedendo in questa mia creazione.
un’altra “verità” in cui ho sempre creduto, è stata quella contro la censura. contro qualsiasi tipo di censura.
quando creavo la mia vecchia fanzine (“rancido” 0, 1, 2, 3, 4, “i racconti del rancido“, 5, 6; non ci sono le anteprime, ma le pagine si:), la linea politica era:

“da censurati non censuriamo nessuno”.

e come si mette in atto questa scelta editoriale? se arrivava qualcosa di scomodo, lo pubblicavo. in realtà è arrivato solo una volta un racconto che non condividevo, ma l’ho pubblicato comunque e ho aggiunto la lettera all’autore in cui chiedevo al riguardo dei punti “critici”, e poi ho pubblicato la risposta dell’autore, tutto sullo stesso numero.
poi il lettore traeva le proprie conclusioni. perchè è facile censurare, ma credo sià più cotruttivo creare un dibattito con una minima cassetta degli attrezzi per pensare.
se ci arrivava qualche disegno brutto? lo pubblicavamo lo stesso. perchè credo che se uno fa la fatica di spedire qualcosa in cui ci ha messo del tempo, passione o quant’alro, c’è un punto in cui tutto questo esiste e lo si può apprezzare. poco importa se il resto “fa schifo”, perchè anche ciò che è brutto ha il suo perchè, che può rivelarsi in un pensare ad un errore da evitare, come andrebbe fatto di meglio, o cosa comporta una scelta di una inquadratura, etc. perchè anche il “brutto” ci stimola a pensare a qualcosa di diverso da quello che c’è già, ci stimola a vedere con altri occhi quello che noi non abbiamo fatto o creare quello che potremmo fare.
non correggevo neanche gli errori di testo, perchè era sintomo di una lingua viva, di una lingua in costante cambiamento e aggiornamento. l’errore di oggi può essere la regola di domani. modi di dire, gerghi e gli errori grammaticali, sono modi di esprimersi, di vivere la propria lingua, l’impronta digitale di un autore.

“rancido” era appunto l’idea che quello che è brutto, schifoso, diverso, era buono per qualcun’altro.
come nell’immondizia si butta ciò che per “noi” è marcio… ma se si guarda bene, con un po’ di pazienza, nel cestino c’è tutto un mondo di esseri viventi, che hanno anche loro, nel loro piccolo, la loro dignità di esiste. è questo “underground” che produce un humus indispensabile a fare nascere qualcosa di ancora più inaspettato che possiamo apprezzare.

come avevo scritto all’ingresso del laboratorio di “elemento di disturbo“: “da pensieri nascono parole, che portano altre parole, che si scambiano in chiacchiere che creano nuove idee che ci fanno sognare altri pensieri e che fanno nascere nuove parole…”

come lo è stato anche per il drammaturgo beaumarchais che scrisse varie opere, tra cui una trilogia, composta da “il barbiere di siviglia“, “la folle giornata ossia le nozze di figaro“, “la madre colpevole“. queste opere vennero proibite perchè aizzava l’odio tra le classi. wolfgang amadeus mozart ebbe comunque una copia della commedia, che a sua volta la diede al librettista lorenzo da ponte. (il librettista è l’autore dei versi di un’opera) mozart in un tour de force mise la musica e da ponte scrisse le parole. lavorarono in gran segreto, e quando gli dissero di stare attenti che stavano rischiando con quest’opera censurata, lorenzo rispose “su ciò che non si può parlare, si può cantare“.*

da parole si creano idee, che possono essere anche censurate, ma una volta dette fanno nascere altre idee e parole che portano ad altre…
e da quello che alcuni va censurato, per altri sono l’humus da cui far nascere “le nozze di figaro ossia la folle giornata“. e chi non ne è rimasto colpito? e non penso di essere stato l’unico ad avere riadattato le arie o le parole per descrivere nuove situazioni…

…ma andiamo quindi avanti con questa più modesta opera divulgativa dal genere erotico con altre tre tavole…
(le puntate precedenti sono qui:  12345, 6).
per chi avesse dubbi, può controllare anche in questo calcolatore di date.

buona lettura…

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fase due del corona virus… sesta puntata di “calendar girl”, ovvero alla ricerca della verità.

ho deciso di chiamarlo “calendar girls” questo fumetto d’appendice di divulgazione erotico-scientifica. le precedenti puntate sono qui  1234, 5.

continua questa ricerca della “verità”, come antidoto al caos che ci sta sempre più circondando, perchè la verità è ciò che ci permette di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato…

ma cos’è la verità?
il concetto più antico a noi noto di “verità” arriva dall’antico egitto, in cui la dea maat (maat significava appunto verità) sempre raffigurata con una piuma di struzzo sul capo, valuta il peso dell’anima del defunto. l’anima (al tempo era il cuore, sede dell’intelligenza e della memoria, l’unico organo che non veniva asportato dalle mummie) era interrogato da 42 giudici divini ai quali bisognava dare altrettante confessioni negative (capitolo 125 del libro dei morti), che erano domande del tipo: se ha rubato, se ha ucciso, se ha dato falsa testimonianza, se hai desiderato la roba d’altri, etc. (un caso che assomiglino ai dieci comandamenti dati da mosè dopo la fuga del popolo ebraico dall’egitto?). date queste 42 affermazioni di purezza, si procedeva con la psicostasia cioè con la pesatura del cuore/anima. il cuore veniva messo su un piatto della bilancia custodito da anubi, e nell’altro piatto della bilancia la piuma di struzzo della dea maat. il cuore del defunto, doveva essere più leggero per essere definito giusto o “veritiero”, e quindi avere l’ok per poter raggiungere il regno dell’immortalità. nel caso fosse più pesante, veniva dato in pasto alle bestie più feroci d’egitto (ippopotami, leoni e coccodrilli).
quindi per gli antichi egizi, si capisce che la verità è ciò che ci permette di raggiungere l’immortalità.
noi arriviamo da una evoluzione di questo pensiero, specialmente greco e romano.
la parola “verità” per gli antichi greci era “aletheia. la “a” davanti alle parole spesso è una “a” negativa, che significa negazione; “lete” era il fiume dell’oblio dove i morti si lavavano e dimenticavano i propri peccati. aletheia era quindi lo stato di non essere più nascosto o dimenticato, lo stato dell’essere evidente, ciò che non si può dimenticare. quindi il far riemergere ciò che viene dimenticato, qualcosa che viene recuperato da una memoria cancellata, è il concetto di verità degli antichi greci.
la parola “verità” (veritas) per i latini è nato da un’altro concetto. da “ver“, dall’antico indiano, che vuol dire barriera. Una barriera che nasconde un qualcosa e che è anche sinonimo di muro e da cui il concetto di diritto. diritto che si contrappone a quanto è (s)torto. quindi non più un concetto simile a quello egizio o greco, che è usato correttamente per le verità matematiche (con un concetto di scoperta) ma un qualcosa che si determina, come i “ver”detti (in cui si definisce il diritto, la verità) o il “ver”ificare (ver+facere ovvero rendere vera).

quindi i due concetti.
una concezione esterna all’uomo, come le verità naturali, che l’uomo può solo far ritornare alla luce cose che sono nascoste, e il concetto romano che è una scelta, un atto di “fede” (come la “ver”a dei matrimoni) nel confronto di persone.

quella che cerco di raggiungere è condividere le conoscenza perchè “compete alla conoscenza parlare, ed è una prerogativa della saggezza ascoltare.” e “non è tanto dannoso ascoltare le cose superficiali quanto smettere di ascoltare le cose necessarie.”
(Oliver Wendell Holmes Sr).

dopo tante chiacchiere, ecco qui il nuovo terzetto di tavole:

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